M.V.M.

Creato il
13/11/98.


Vázquez Montalbán presenta alcuni ristoranti di Barcellona


Barcellona secondo me

MIRO SILVERA*

Grazia, 9 / 10 / 1998.


Miro e MVM

Miro Silvera (a sinistra) con Vázquez Montalbán.
È il 24 settembre sera, e a Barcellona è la festa di Nostra Senyora de la Mercè che è in concreto la patrona della città. Fa ancora caldo, una piacevole coda illusoria di un'estate che sembra non finire. La brezza piú fresca viene dal mare, quel mare che i barcellonesi, fino a pochi anni fa, vivevano solo andando sull'alto delle colline dietro la città, o giú al porto, che era veramente poco accogliente. Oggi si possono godere una passeggiata a mare che ha cambiato il carattere della città. Manolo (Manuel Vázquez Montalbán) mi ha dato appuntamento vicino alla chiesa della Pietà. Verrà giú dalla sua casa addossata alla collina per immergersi nella vita notturna della città; gireremo per strade e ristoranti, e poi ci vogliamo vedere il correfoc, la processione dei diavoli e dei mostri conclusa dai fuochi d'artificio riflessi nelle acque del porto. I banchetti delle friggitorie diffondono nell'aria un profumo insinuante che ritroveró nei miei vestiti il giorno dopo.
    Barcellona è una città di mare. Ma ricordo che molti anni fa, quando ci sono venuto per la prima volta, l'ho vissuta invece come una città di terra. Aspettando Manolo, mi mangio un cartoccio di acciughine fritte al momento. E ripenso al luogo meno frenetico che era. E a noi tutti che eravamo piú giovani e ingenui. A Barcellona, non ancora cosí catalana, mi aveva portato la mia meravigliosa Myriam. I suoi abitavano in una suggestiva villetta con giardino a Sant Gervasi, poi abbattuta. Io finii in una buffa pensione di famiglia, sul largo viale del Paseo (oggi si dice Passeig) de Gràcia, e mi guardavo ogni giorno la splendida facciata a onde di Casa Milà, costruita dal geniale architetto Gaudí nel 1910.
  
La Pedrera

Casa Milà, La Pedrera.
Tutti la chiamavano «La Pedrera», la cava di pietra, perché all'epoca non era stata capita. Solo nei tardi anni '60, noi giovani riscoprimmo con forti emozioni questi esempi molto azzardati di avanguardie dimenticate. Guardare Casa Milà mi faceva venire il mal di mare, una vertigine che il capolavoro provoca. O forse questo avveniva perché, nell'intero edificio, non v'era una sola parete diritta. E i camini attorcigliati sul tetto in un'ultima agonia erano il delirio migliore. Cosí, con la guida di Myriam, feci la scoperta del Modernismo catalano. Quasi mi persi nella mai finita Sagrada Familia, neogotica e spiritualissima, in cui il suo folle inventore Gaudí si fece seppellire. Egli voleva che il risultato finale fosse una specie di bosco di pietra. Barcellona, allora come oggi, è la città delle emozioni. L'arte vi fa capolino da ogni angolo. Oggi Myriam fa radi viaggi a Barcellona. Incontra gli scrittori, tutti amici, come Manolo di cui è la traduttrice di fiducia in Italia. Oggi lei si firma Hado Lyria, e nasconde nelle sue mani il talento di una grande pittrice che non vuole piú esporre. È lei che mi parla sempre di Manolo, e che fa da tramite a una amicizia impossibile.

Ma ecco che lo vedo, il celebre scrittore. Non ha piú i baffi che lo caratterizzavano cosí bene. Se li è tagliati perché gli si stavano imbiancando. Mi dice che ha fatto fatica a scendere dal suo relativo eremo di Vallvidrera, dove abita in una villa degli anni '30 rimodernata. È la stessa casa abitata nei libri dalla sua creatura letteraria, lo scopritore di omicidi Pepe Carvalho, protagonista di tanti romanzi di successo. Dalla sua casa, si vede poco distante la gran torre delle telecomunicazioni eretta in epoche di Olimpiadi. C'è chi dice che lui e la sua creatura Carvalho litighino ogni tanto, nel cuore della notte, anche se uno non puó fare a meno dell'altro. Sono due gemelli in uno, come Jekyll e Hyde, e non a caso Manolo è un Gemelli geniale che ha sostituito il fatale laboratorio del povero Jekyll con una grande cucina, dove prova salse nuove e affetta salami. E il Mr. Hyde che ne viene fuori è sempre lui, ma piú grasso, preso da furiosi raptus scriventi e mangianti fino alle ore piú fonde, producendo libri a raffica per milioni di lettori.
    Manolo mi chiede se non vogliamo allontanarci dalla folla. Quella va bene solo per un po'. Lo vedo malinconico. Mi dice che questo suo stato è una conquista recente. Si era fatto delle illusioni su come sarebbe dovuto andare il mondo. «Tutto va troppo veloce, la storia corre, affastella una cosa sopra l'altra, non ha il tempo di digerire i bocconi amari e le sconfitte che è costretta a mandare giú. E noi con lei...».
    Ridiamo. Io penso che Manolo compirà sessant'anni l'anno prossimo. L'eterno ragazzo che vuole essere un Gemelli non accetta facilmente di fare la figura dello scrittore venerabile. Per distrarlo, giochiamo sulle «gemellità» presenti nella sua vita. Per esempio, in Italia è pubblicato da due case editrici dal nome quasi identico: Frassinelli (i saggi e i romanzi) e Feltrinelli (la fortunata serie di Pepe Carvalho).

Andiamo verso il lungomare di Barceloneta, una volta quartiere poco raccomandabile e oggi —cioè da quando hanno finito i lavori nel 1995— una splendida passeggiata a mare con luci e tanti ristoranti e negozi aperti sino all'alba. È vero, i giochi olimpici hanno molto cambiato il profilo della città. Con il dito, Manolo mi indica il Port Nou (quello nuovo) e il Port Vell (quello vecchio). «Lí era il quartiere della mia infanzia, una infanzia dura. Adesso è come un deposito della memoria. Questa città e stata la mia università, mi ha educato».
Entriamo in una vecchia osteria, un merendero. Ci offrono pan con tomate, ampie fette di spugnoso pane contadino su cui sono stati schiacciati dei pomodori maturi, conditi con sale e olio. «È il tipico cibo catalano, povero e saporito. Quando lo offrirono a Jorge Luis Borges dicendogli che era il piatto tradizionale di Barcellona, non si trattenne dall'esclamare: Che miseria!».
    Con la scusa che ci era venuto appetito, andiamo verso il Port Nou, dove c'è uno dei ristoranti preferiti di Manolo, il Telaia. Mi spiega che ci viene spesso a cucinare l'erede del mitico chef Robuchon, Ferran Adrià. L'impostazione è quella della nuova cucina, non solo di laboratorio, con importante sintesi fra mare ed entroterra, tra antico e post-moderno. Lí, tra mille sofisticherie affascinanti, ci preparano un altro piatto tipico, molto amato da Manolo che, per formazione e cultura, ama il piatto unico abbondante della cucina povera. È la Escudella i carn d'olla: un profumatissimo bollito catalano realizzato con carne di vitello e di manzo, gallina, pancetta, piedino e orecchio di maiale, salsiccia bianca, polpettone, osso di prosciutto, ceci, fagioli, patate, cavolo, rape e carote, sedano e aglio. Dopo due ore e mezzo, si scola il bollito e si filtra il brodo in cui si cuocciono dei conchiglioni di pasta che fungono da minestra, seguiti dal sontuoso vassoio di carni circondate dalle verdure. Mangiando, commentiamo che ci sembra una cena degna dei Borgia, e ci lamentiamo a vicenda che non ci siano piú figure eroiche attorno a noi.
«Allora, chi è l'eroe oggi?».
«Forse lo scrittore, sicuramente l'artista che lotta contro l'indifferenza. Io stesso mi batto per una letteratura d'intervento. Attraverso saggi, articoli sui giornali, e questo mio recente romanzo O Cesare o nulla, sui Borgia mi sembra di poter dire qualcosa. Anche il mio prossimo libro Y Dios entró en La Habana parlerà di svolte storiche. Ho seguito il viaggio del Papa a Cuba, e ne ho tratto delle stimolanti conclusioni».

   «Gli intellettuali sono stanchi».
«Sí è vero. Dovremmo scuoterci di dosso tutta questa "normalità", e reinventarci una nostra grandiosità, un diritto all'ambizione».
Appagati dal cibo, prendiamo un taxi per andare al Barrio Chino, oggi Barri Xinés in catalano. Io ricordavo un quartiere di dubbia fama che apriva le sue botteghe solo di notte. In pieno franchismo, case d'appuntamento e negozi sofisticati di oggetti erotici. Ridiamo insieme narrandoci le mille stranezze di un quartiere che oggi non e piú quello di un tempo, ma che è ancora pieno di suggestioni, e tanto.
«Ma di Barcellona, la parte che piú ti fa bene al cuore, qual'è?».
«Il Parque Güell. Ci andavo da bambino. Non è cambiato. Sono solo io che sono cambiato».
«Ancora Gaudí. Ha influenzato tutto il senso estetico e il clima della città. Vero?».

La città sembra ballarci addosso. Sentiamo lontani gli scoppi dei fuochi d'artificio che volevamo vedere. L'allegria della notte è generale, impressa su ogni volto che ti si avvicina amichevole. Davanti a noi cammina un signore che assomiglia in tutto a Pepe Carvalho, e se mi giro anche Manolo mi rimanda la stessa immagine. C'è di che inquietarsi, ma forse è solo l'effetto del corposo vino rosso che la mia illustre guida regge meglio di me. Entriamo nel ristorante Casa Leopoldo. La signora Gil, materna e con grandi occhiali sul naso, ci abbraccia. Il nonno Leopoldo fondó il locale nel 1929, e nulla è cambiato. Si sente nell'aria profumo di vera cucina casalinga. Assaggiamo dei fritti meravigliosi che io intingo nella picata, una celestiale salsina fatta di aglio, prezzemolo, mandorle e zafferano frullati, il tutto legato da un filo d'olio. Manolo mi parla del suo lavoro sui Borgia, del coloratissimo quadro storico che ha affrontato.
    «Ma a che ora ti metti alla macchina per scrivere?», chiedo io.
«Alle sette del mattino. Dipende comunque dal ritmo dell'opera. È lei che detta legge».
Allora d'un tratto capisco com'è generosa Barcellona con chi vi abita, quanto li sostenga e quanto sia prodiga di energie e di ogni ben di Dio per loro. Un po' mi dispiace di non poterne godere che occasionalmente anch'io, da turista della penna e della memoria. Uscendo, Manolo è piú che soddisfatto, e mi propone altri giri. Ma io posso solo abbracciarlo e ringraziarlo. Da buon italiano d'oggi, non sono piú abituato a tanta generosità e a tanta energia. Ma forse Manolo, novello Mr. Hyde o novello Cesare Borgia, voleva solo provare su di me le resistenze gastronomiche dell'intellettuale italiano. Mi sembra di averlo deluso. Riproveró un'altra volta.


Vázquez Montalbán presenta alcuni ristoranti di Barcellona


*Miro Silvera è giornalista e scrittore. Tra i suoi libri ricordiamo Margini d'amore del 1994.