M.V.M.

Creato il
15/7/2000.



Robinson ed il capitalismo selvaggio

MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN

Vari giornali europei, dicembre 1997.


Non riusciró piú a leggere Robinson Crusoe come ho fatto la prima volta, ovvero come l'angosciante avventura di un uomo bianco, un nero, io e un fuoco su un'isola deserta, dove di quando in quando i cannibali si recano per cibarsi delle loro vittime. Il mito dell'uomo libero nella natura libera m'aveva conquistato e ora so che l'aveva fatto per sempre. La seconda lettura fu motivata da un lavoro universitario, attraverso il filtro della pretestuosità di sintesi nell'ambito di ciò che adesso chiameremmo la decostruzione del testo e l'analisi ideologica.

    Allora già sapevo che il Robinson Crusoe è una metafora e una parabola morale e ideologica sul valore dell'individuo abbandonato alla natura, senz'altro sostegno né appiglio reale se non il suo legame diretto con la Provvidenza.
Nella parabola si riflette la filosofia del mondo della borghesia attraverso uno dei piú geniali e tenaci sostenitori della coscienza crescente di questa classe: Daniel Defoe.

    Marx riuscí a comprendere molto bene le intenzioni morali e politiche del Robisnon Crusoe di Defoe e di tutti i Robinson che comparvero in Europa cercando di riprodurre questo modello:

«Le robinsonate non esprimono affatto, come ritengono gli storici della civilizzazione, una semplice reazione contro una raffinatezza eccessiva e il ritorno a una vita primitiva mal compresa. Cosí come neppure il Contratto sociale di Rousseau, che tramite una convenzione si rivolge e comunica a soggetti indipendenti per natura, si basa su un simile naturalismo. Questa è solo l'apparenza estetica delle piccole e grandi robinsonate. Esse invero anticipano la società borghese che stava per nascere nel XVIII secolo e che nel XIX secolo muoveva a grandi passi verso il suo apice. In questa società di libera concorrenza, l'individuo appare come liberato dal legame con la natura, che in epoche precedenti l'aveva reso parte integrante di un conglomerato umano determinato, delimitato»

    Questa lunga citazione tolta dalla Critica dell'economia politica basterebbe da sola a sostenere una tesi sul vero dell'opera La vita e le straordinarie avventure di Robinson Crusoe di York, marinaio.
Ma quello che cerco non è un significato; intendo invece recuperare la magia della lettura di uno dei dieci libri che sceglierei come determinanti per la mia condizione di lettore e di mitomane. Se non posso dedicarmici con l'innocenza della prima volta, cosí come non riuscirei mai a scrutare le persone e le cose come quarant'anni fa, e cosí come per colpa di Contributo all'estetica di Henri Lefèbvre, non torneró mai piú a isolare i colori come quando mi sembravano gioiosamente astorici, ho comunque bisogno di trovare una sintesi tra l'ingenuità del lettore scaraventato su un'isola deserta e il cinismo dell'intellettuale di fine millennio che ha letto Robinson col sospetto che sia stato l'agente segreto di Margaret Thatcher dall'origine delle specie neoliberali.

    Daniel Defoe pensava d'aver scritto un'allegoria puritana: il naufrago su un'isola deserta e il castigo con il quale la Provvidenza punisce Crusoe per i suoi peccati contro l'autorità paterna, la sua pochezza di fronte a Dio e la sua scarsa fede nella Provvidenza. Ma Defoe, credendo di essere un puritano, è gia un utilitarista e annuncia il male selvaggio del capitalismo selvaggio.
Ma non mi soddisfa questa lettura cosí postmarxista, forse dettata dalla disperazione di fronte all'evidenza del finale irreversibile dell'Avventura in questa galassia.

    I libri che servirono a creare immaginari del tutto nuovi, il mito dell'uomo libero nel mercato libero, meriterebbero la pietà postmodema e il diritto a essere oggetto di una drammaturgia materializzata in parchi di divertimento finanziati dalla Walt Disney Corporation, per citare un'impresa destinata a imbalsamare le mitologie e gli dei, maggiori e minori.

(Traduzione di Hado Lyria)