M.V.M.

Creato il
29/3/02.


Ancora su L'uomo della mia vita:

1) Recensione di Edmondo Dietrich


Carvalho ritorna più umano

BRUNO ARPAIA

Sole 24 ore, 19 / 11 / 2000.


Da quasi trent’anni Pepe Carvalho, il detective creato da Manuel Vázquez Montalbán, ci accompagna in un accidentato (e diseguale) percorso lungo le grandi vicende del suo Paese e dell’Europa. Attraverso i suoi occhi abituati a cogliere i più impercettibili segnali dei cambiamenti sociali e politici, abbiamo assistito alla morte di un dittatore, alla caduta del Muro, allo sgretolarsi delle ideologie. Poi, dopo le Olimpiadi del 1992, Carvalho aveva abbandonato la sua Barcellona, ormai trasformata e irriconoscibile, per giocare in trasferta, prima a Madrid e quindi a Buenos Aires. Adesso Carvalho ritorna a Barcellona per una nuova avventura, ma deve fare i conti con il tempo, la sostanza di cui siamo intessuti, il mistero che trasforma tutto ciò che tocca. È il tempo, infatti, che ha trasformato Barcellona, rendendola «una città inservibile, bella ma senz’anima, una città pastorizzata», un simulacro, un oggetto di design, anche se adesso le è stato restituito l’accesso al mare. È sempre il tempo ad aver trasformato Charo, tornata, dopo un "esilio" di sette anni ad Andorra, per continuare ad amarlo, perché Carvalho è «l’uomo della sua vita», ma anche per rompere con il passato, per aprire un negozio di prodotti dietetici e procurare al "suo" detective un posto fisso e il diritto alla pensione.

Ma il tempo ha modificato lo stesso Carvalho, divenuto più vecchio, e dunque più lucido, più disincantato, più nostalgico. Oggi Pepe Carvalho è un uomo che dichiara: «Non ho patrie, non voto, non ho più bandiere. Preferisco mangiare e scopare pericolosamente. Quando posso»; ma è anche un uomo disposto ad ammettere di non avere più l’età per capire lo spirito dei nuovi tempi, «lo spirito di quella che alcuni pedanti chiamavano la "postmodernità" e che Carvalho riteneva un tempo stupido fra due tempi tragici». Colpa degli anni che incalzano: per lui, stavolta, perfino l’amore è forse solo impossibilità di futuro, anche se si affaccia prepotentemente nel libro attraverso un fax (segno che il detective ha dovuto arrendersi a qualche aspetto della modernità), scodellandogli sulla scrivania un altro fantasma del passato: quella Jessica Stuart-Pedrell che avevamo conosciuto, vent’anni fa, ne I mari del sud.

Insomma, Carvalho è stanco: sul bordo dei sessant’anni non si ritrova tra le mani che la casa di Vallvidrera e una decina di milioni in banca. È per questo che si imbarca, magari controvoglia, cedendo alle pressioni di Charo, nell’organizzazione di un servizio segreto catalano in lotta contro la globalizzazione (colpevole di mortificare i nazionalismi) e contro Región Plus, una fantomatica entità economica sovranazionale che dovrebbe riunire Barcellona, Tolosa e la Padania e che minaccia, nientemeno, di attentare alla "catalanità". È per questo che accetta di investigare sulla morte di un rampollo dell’alta borghesia e di avanzare a tentoni, turandosi il naso, in un mondo pieno di sette religiose, di esclusivi club privati, di confraternite sataniche. Ma i due universi, quello del nazionalismo e quello dell’irrazionalismo, si riveleranno uniti da vincoli strettissimi, da legami oscuri e complessi. E per la prima volta il detective convivrà con il sospetto di essere manovrato, di essere stato scelto per scopi che non riesce a controllare.

Diciamolo: Carvalho è cambiato. Sì, continua a bruciare libri, a sfornare ricette, a pronunciare folgoranti battute, a risolvere casi complicati, ma stavolta si sente molto vicino alla sconfitta definitiva. Sa che, in questo mondo governato dal denaro, per gli outsider come lui non c’è più posto. Magari questo Carvalho filosofeggia un po’ troppo, ma alla fine dei conti è più umano, più fragile, ancora più vicino a noi, gonfio com’è di rabbia e di nostalgia, di ironia e di impotenza. E allora adesso sì che lo sentiamo pronto per il gran finale, quello che Montalbán annuncia già da tempo: quel giro del mondo insieme a Biscuter che dovrebbe portarlo a fare i conti con i grandi simboli del secolo che ci stiamo lasciando alle spalle. Conti finali, temo. E poi, pensione o non pensione, Carvalho si ritirerà per sempre nella sua casa di carta a Vallvidrera, affacciata su un mare «malinconico, color vetro opaco, come se fosse diventato un mare del nord, un mare straniero».


Ancora su L'uomo della mia vita:

1) Recensione di Edmondo Dietrich