M.V.M.

Creato il
1/12/97.


G.Gerosa
Guido Gerosa.

RITRATTO ALLO SPECCHIO DI FRANCO DITTATORE

GUIDO GEROSA

IL GIORNO, 24/10/1993.


Manuel Vázquez Montalbán, uno degli scrittori piú amati di Spagna, è nato a Barcellona nel 1939, mentre Franco vittorioso dopo la sanguinosissima guerra civile entrava ain Madrid. Ma Barcellona era stata, due anni prima della sua nascita, teatro di una delle vicende piú devastanti di quel conflitto fratricida che fu la prova generale del disastro d'Europa. I comunisti avevano massacrato gli anarchci e suscitato l'orrore in Orwell e negli intellettuali accorsi per celebrare l'ultima guerra del romanticismo e per combatterla come eroi dell'Ottocento. Si fronteggiavano, nella Barcellona di Montalbán, due immaginbi della sinistra, che avrebbero dominato il secolo: quella p1umbea e burocrtica, stragista e massacratrice di Stalin e dei suoi figli: il comunismo imperiale e vincente; e l'ideale di sinistra che guardava invece al «domani che canta», il sogno e l'utopia, la ricerca della giustizia e dell' emancipazione, riflesso in quegli anarchici che furono distrutti dagli impiegati della rivoluzione.

Ora Montalbán ha scritto un libro bellissimo, che la Frassinelli ci fa conoscere in un'edizione molto elegante degna del suo stile: «Io, Franco». Non è la biografia del dittatore che dominò la Spagna dalla conquista di Madrid nel 1939 alla morte nel 1975 e che lasciò in eredità al popolo che aveva tiranneggiato un bravo re, Juan Carlos, e una sorprendentemente matura democrazia. Questo è un romanzo, ma basato su forti materiali storici. E il Franco di Montalbán parla in prima persona: si racconta, scava dentro le proprie viscere, autoironizza per quanto ne è capace data la rigida educazione che ha ricevuta, tracci con mano sicura il proprio ritratto e l'affresco del suo tempo.

Un'opera formidabile. C'è soltanto un altro romanzo che è riuscito a dare con altrettanta profondità e ironia l'anatomia di un dittatore. È il classico film «Il grande Dittatore» di Charlie Chaplin, del 1940. Anche in esso, come in Montalbán, si assiste allo sdoppiamento del protagonista. C'è il piccolo barbiere ebreo, sosia del dittatore e vittima della storia, che con drammatica lucidità giudica il suo «doppio» il quale, anziché condividere la sua dolcezza, spinge il mondo nel baratro. Di fronte al barbiere ebreo si erge questo sosia demoniaco: il perfido Hinkel dittatore di Tomania, incarnazone di Hitler.

E anche nel romanzo dello spagnolo, Franco si sdoppia. Da un lato il narratore lo incalza e sotto sotto ride di lui: quasi fosse un Franco più adulto e più responsabile, spogliato di quel grigiore burocratico che fu la forza del generale supercattolico. Ma di fronte al narratore che giudica spunta lui, cioè Io: Io Franco come «Yo el Rey», Io il Re, che è sempre stato il simbolo del potere spagnolo. E questo Franco pagina dopo pagina (e le pagine sono più di 600!) si rivela figlio di una Spagna tradizonale e conformista, venuto da El Ferrol galiziana che vide fanatismi e difese della dignità patria in un mare assediato dall'ambizione inglese: mitico bastione fondamentale della marina spagnola. Il Franco descritto magistralmente da Montalbán cresce in un ambiente codino, dalla religiosità rigorosa ma mediocre, con una moralità scolastica, «al servizio della patria e del bene comune». Crede nella triade mistica: Dio, patria, re. Il suo orizzonte non va al di là delle tre giubbe e dei quattro pantaloni del corredo militare.

E il fatto miracoloso è che questo Franco è un dittatore gigantesco ma diverso da Hitler, da Mussolini e da Stalin. È un impiegato della dittatura, è il Tiranno in mezze maniche, l'Autocrate che timbra il cartellino. Colossale ma anonimo. Questa è la sua caratteristica nel vortice del secolo. E' un burocrate, un monotono e metodico esecutore di ordini, anche quelli che dà a se stesso Non perpetra gli stessi massacri, ma ricorda Eichmann. Uno stragista che coltiva rose, un assassino della libertà che va a Messa e ama i bambini. Perciò Franco, a differenza dai colleghi, morì nel suo letto. La sua grandezza fu la mediocrità. Una mediocrità così abissale che lo colloca, regalandogli grandezza, vicino ai re cattolici e a Carlo V. Misteri della storia.