M.V.M.

Creato il
3/5/98.


Ancora sul Chiapas:

1) Intervista con il vicecomandante Marcos.
2) Intervista per Il Manifesto.


La cyberguerra del Chiapas

MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN

La Repubblica, 3 / 1 / 1998.


Finché ha potuto, il Pri —il partito che governa in Messico da oltre 70 anni— ha sostenuto che le uccisioni nel Chiapas erano un conflitto tra gruppi indigeni, togliendogli il carattere di provocazione mercenaria pagata dai cacicchi della zona. I signori feudali del Chiapas, iscritti al Pri, sono interessati a destabilizzare nel tentativo di giustificare un intervento mllitare. Il Chiapas è potenzialmente ricco, al punto di essere riuscito ad arricchire l'oligarchia portando alla miseria la popolazione, in maggioranza indigena. Mentre il Pri cerca di mascherare questo assassinio perpetrato da mercenari, l'opposizione pretende di indebolire il Pri puntando il dito su uno dei suoi molti errori. Ma: chi tiene in conto il problema degli indigeni, quello che diede luogo al movimento zapatista, una rivoluzione sulle difensive, quasi incruenta, in cui quasi tutto il sangue versato appartiene agli insorti?
    Il Pri e i cacicchi vogliono stancare gli indigeni perché abbandonino il comando di direzione e il carismatico vicecomandante Marcos, un autentico incubo mediatico che ha ottenuto qualcosa di slmilea quanto ottenne Charlot accerchiando le truppe del Kaiser. Marcos è riuscito a emettere un sistema di segnali positivo che ha messo fuori gioco tutti i tentativi mediatici di ridicolizzare, minimizzare o demonizzare la rivoluzione zapatista. "Il Pri ha un grosso debito da pagare a questo paese", aveva dichiarato a suo tempo il vicecomandante, e tale debito continua ad aumentare. I negoziati tra zapatisti e potere si sono rotti perché il Pri agisce da filibustiere, sistema che gli ha consentito di governare per tanti decenni, senza badare al dettaglio, addirittura di aver perso le elezioni alle urne. Il Pri vuole guadagnare tempo perché la stanchezza delle basi sociali che spalleggiano il fronte zapatista giustifichi un blocco militare piú asfissiante di quello attuale e impartire il segnale di attacco. Lo scacco zapatista non solo deteriora la prestanza politica del Pri, ma mette anche in stato di allarme altri governi latinoamericani impegnati nell'operazione di simulare il liberismo e la democrazia politica. Il Chiapas è un rumore nel canale di comunicazione dell'happy end del millennio.
    Vogliono che il Chiapas torni all'ordine perché il disordine non si contagi, con parole simili a quelle adoperate da Bismarck per chiedere che la Comune di Parigi venisse soffocata quanto prima: "... prima che quella pellagra parigina contagi tutta l'Europa". In tutta l'America Latina, il fallimento sociale del liberismo farà strada alla ricerca dl un modello di intervento politico costruito dal basso verso l'alto, a partire da un bilancio dei bisogni reali ed evitando teorie di emancipazione troppo totali. Il pragmatismo critico degli zapatisti esaspera piú di qualsiasi altro rivoluzionarismo utopico, esaspera precisamente perché le rivendicazionni degli indigeni si basano su bisogni reali, che hanno basi reali e una possibile soluzione. Soltanto se si teme che lo spontaneismo critico zapatista venga applicato all'insieme della politica messicana, o se si è in preda a pregiudizi e disinformazione, le rivendicazioni degli indigeni possono essere ritenute utopiche.
    Gli specialisti della comunicazione sono stupiti dal fatto che gli zapatisti posseggono un sistema di informazione alternativo e globale, basato sull'attivismo di un volontariato solidale e cybernauta, che in pochi minuti puó opporre una verità artigianale alla menzogna dei possenti macchinari dell'informazione.
Un tema di studio che propongo diventi obbligatorio in ogni facoltà di Scienze della comunicazione non ancora vampirizzata dal pensiero unico.

(Traduzione di Hado Lyria)


Intervista con il vicecomandante Marcos.