M.V.M.

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21/3/1998.

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NOTIZIAArticolo interessante.

IntervistaIntervista con Manuel Vázquez Montalbán.

* I titoli seguiti da un asterisco non sono stati pubblicati in Italia

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I libri di Manuel Vázquez Montalbán tradotti in italiano

Leggete anche Attualità in poesia, articolo di Dario Puccini.

POESIA

Città, (Ciudad, 1997), a cura di Hado Lyria, Frassinelli, 88 pagine (1997, ISBN:88-7684-465-1).
NOTIZIAIl poema è stato pubblicato contemporaneamente in Spagna e in Italia, e qui in una bellissima edizione bilingue molto ben curata da Hado Lyria. Vázquez Montalbán consiglia anche ai lettori spagnoli l'edizione della Frassinelli.
NOTIZIALo scrittore ha ricevuto il premio internazionale di letteratura Fregene nel luglio del 1997 per questo poema e per Pasionaria e i sette nani. La giuria del premio era presieduta da Marina Pallotta.
AttualmenteRipubblicato nella collana I miti da Mondadori, senza le utili note della curatrice. Insomma, edizione economica, ma menomata.

Le precedenti opere poetiche dello scrittore saranno pubblicate in futuro sempre presso Frassinelli. Per informazioni sui titoli si rimanda alla pagina in spagnolo sulla produzione poetica.


Luglio 1997. Con Álvaro Mutis a Genova per la presentazione di Città.
(Foto Hado Lyria)


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ATTUALITÀ IN POESIA

DARIO PUCCINI

L'INDICE dei libri del mese, gennaio 1994.


Proprio a Manuel Vázquez Montalbán —solo gli "addetti ai lavori" lo ricordano— si deve quella brusca e importante svolta impressa alla poesia contemporanea spagnola, che rimase ben documentata nell'antologia di José María Castellet, Nueve novísimos poetas españoles (1970), e nel primo libro di versi di Montalbán (ancora non era nato il narratore e soltanto l'impetuoso e agguerrito e molto seguito giornalista), Una educación sentimental (1967). Certo, egli non era sorto isolato e solo: prima di lui avevano lavorato in novità e profondità Jaime Gil de Biedma, Carlos Barral, José Angel Valente e altri, e gli altri otto "novissimi" avevano fatto altrettanto e al pari di lui, e tra questi soprattutto Pedro Gimferrer, geniale e coltissimo inventore. Non si trattava soltanto di superare le secche della cosiddetta poesia sociale e realista, ma di inaugurare qualcosa di nuovo, come ora si vedrà. In ogni caso, con Montalbán e con gli altri si è aperta una breccia e una nuova epoca della poesia spagnola, anche in questo caso - si badi bene - tra le più vitali d'Europa: con i Claudio Rodríguez, Carlos Sahagún, Antonio Colinas, Francisco Brines, e via elencando.

Che cosa è stata questa svolta degli anni sessanta? Per spiegarla tutta e bene occorrerebbe un discorso un po' lungo: storico e quasi antropologico. Mi basti ricordare una frase sintomatica di Montalbán: "Cinema e canzoni si sono alimentati di letteratura. È ora insomma che la letteratura si alimenti di cinema e canzoni. I programmatori del divorzio tra cultura d'élite e cultura di massa moriranno sotto il peso della massificazione della cultura". Sono parole che ora appaiono un po' scontate, ma non obsolete. Oppure si potrebbe citare l'epigrafe del già citato Una educación sentimental, dove Montalbán ringrazia un fascio di poeti spagnoli e non spagnoli alla rinfusa (si direbbe a tutta prima) e vi frammischia nomi come Paul Anka, Modugno, e persino Carlo Marx e Adam Smith, rivolgendo a tutti un ringraziamento perché da tutti egli aveva "rubato parole e versi interi". In altri termini, per lui e per gli altri del gruppo, tutti i miti divulgati dai mass media e dalla politica e dal cinema e dalla cultura di massa entravano di diritto, si direbbe, nella poesia: Yvonne de Carlo, Che Guevara, il Vietnam e Marilyn Monroe (inutile dirlo), e autori come Ovidio o Truman Capote e persino nomi di matematici...

Del resto, tra antifranchismo e sapore di nuovo, còlto ora nel volo degli astronauti, ora nelle incursioni vere o false oltre i confini della Spagna, ora nei libri poco accessibili o difficili, ora soltanto all'ombra delle storie di cartapesta delle canzoni in voga e fondati sulla vacuità degli spettacoli televisivi, si veniva appunto formando quella speciale "educazione sentimentale" che finiva anche per alimentare la poesia. Non a caso quel primo libretto fece più chiasso di quanto in generale possa mai fare un'opera di poesia. E allo stesso modo, anche il titolo del secondo libro di versi, Movimientos sin éxito (1969), sembra quasi anticipare quello di un film di Wim Wenders, Falso movimento, e poi si dispiega, nel testo, in un diffuso e protratto senso di sconforto e di delusione, dove persino la pubblicità o i versi di Quasimodo e di Eliot sembrano approdare a ingrati o fallaci "sogni proibiti" e a fantasie fallite e incerte.

Vennero poi, nello stesso anno (1973), due altri libri di poesia, entrambi, anche in questo caso fin dal titolo con echi di libresca o men libresca memoria; il felice esperimento di rimembranza infantile attraverso l'ironica ripresa di un testo classico (quello di Jorge Manrique), Coplas a la muerte de mi tía Daniela, e ancora, pure più esplicito, A la sombra de las muchachas sin flor, dove poesie d'amore e di pacato erotismo ben si attagliano al modello proustiano (delle "fanciulle in fiore") opportunamente rivisitato con ironia se non proprio con spirito paradossale.

Non conosco il più recente libro di versi dal titolo (calviniano?) Pero el viajero que huye ("Ma il viaggiatore che fugge", Visor de Poesía, Madrid 1993), ma l'opera più bella di poesia di Montalbán è, a mio giudizio, quella che credo sia la sua penultima: Praga (1982). Qui, è bene sottolinearlo, la rievocazione letteraria (Kafka) e musicale (Mozart), o quella insistita dei carri armati o quella occasionale di Salgari e di Casanova, insomma quella specie di contaminazione con gli oggetti della nostra cultura e della nostra vita che costituisce la cifra seria e ludica, amara e scherzosa, tra pastiche letterario e assunzione di miti, della poesia di Vázquez Montalbán, raggiunge il suo punto più profondo e più intenso. La città sembra rivivere nel suo essere simbolo o dolcezza, delusione o ritrovamento, luogo di incontri furtivi e di atmosfere ritrovate. Cito soltanto i versi finali del libro, quasi un riassunto di tutta l'operetta: "non vi è linguaggio senza metafora / morte è metafora del nulla / non è la vita non è la rosa / non è la Storia è il carrarmato / e neppure Praga è Praga / neppure / a dirla schietta / una sinfonia incompiuta" (la sinfonia è naturalmente la K —altra K oltre quella di Kafka— 504, "prima sinfonia preromantica").

Concludo segnalando due unici libri dove è possibile leggere qualche poesia di Montalbán in lingua italiana: la traduzione parziale dell'antologia già qui citata di Castellet, Giovani poeti spagnoli (Einaudi, 1976), a cura di Rosa Rossi, e l'antologia, a cura di Giovanna Calabrò, La rosa necessaria, poeti spagnoli contemporanei (Feltrinelli, 1980): ben poca cosa se si paragona con il (meritato) successo dello stesso autore nella parte di narratore di romanzi, tanti e tanti, tutti tradotti in Italia, fino a quello più recente e più vistoso: Io, Franco.


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