M.V.M.

Creato il
15/7/2000.


Perifrasi sulla
costruzione e decostruzione
di Barcellona

MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN

Presentazione del libro Le Barcellone perdute di Pepe Carvalho, Ed. Unicopli, 2000


Lettera all'architetto italiano: Alberto Giorgio Cassani

Caro amico. La lettura del suo brillante testo Le Barcellone perdute di Pepe Carvalho mi dimostra che la letteratura è come il messaggio nella bottiglia del naufrago il quale riesce talvolta ad arrivare addirittura sul tavolo da lavoro degli architetti. Presumo che lei sia un meticcio, in quanto è stato capace di ricostruire una città seguendo le orme sottoculturali di un detective privato; e solo un meticcio lettore di Helen Rosenau (per esempio) e Patricia Highsmith è capace di una penetrazione come quella raggiunta dalle sue pagine, in grado di leggere le maschere di Barcellona, la sua capacità mitologica.

    Atene, Babilonia, Ninive, Alessandria... Nomi di città che evocano complesse mitologie e riferimenti simbolici che la memoria di tanto in tanto rivisita. Se ci domandiamo "quale memoria", complichiamo il problema del soggetto che stabilisce la memoria delle città al punto di renderlo inassimilabile. Per alcuni, Atene è la città di Pericle (l'Atene di Pericle), per altri quella dell'incontro di architetti e urbanisti che ne hanno codificato l'avanguardismo contemporaneo. Quanto a Babilonia, è insieme la città giardino sotto la legge del desiderio e, inoltre, una città che rese possibile la canzone «Ahi Ba, ahi Ba... ahi Babilonio che stordimento»* di una rivista musicale spagnola. È esistita l'Alessandria dell'archivio bibliotico dell'umanità, e quella di Durrell, sebbene altri preferiscano quella di Kavafis. Le città si trasformano in riferimenti per una finalità dello splendore materiale e culturale quasi sempre coincidente con quella dell'egemonia politica ed economica. Se questa legge è valida per capire il fissaggio delle città sulla memoria del passato, sarebbe invece difficile dimostrarne la validità in quest'ultimo secolo.

    Alcune città sono letterarie e altre no, come esistono regioni che devono il loro sviluppo a una linea ferroviaria che le attraversò in tempo, mentre altre rimanevano chiuse nella loro geografia da calesse e mulattiere. Talvolta tutto dipende dall'impegno messo in atto da uno scrittore o da un gruppo di scrittori e talaltra dalla materialità stessa della città, dalla sintassi della sua memoria o della sua fisicità, dalle sue archeologie, dalle sue genti. Appare chiaramente come Barcellona diventi a un tratto letteraria nel XIX secolo, una città capace di essere immaginata e di generare un immaginario barcellonese trifronte: la città-capitale vedova e romantica di un impero perduto avrebbe prodotto una gamma di odi nazionaliste; e la città capitana di una rivoluzione industriale di lotte sociali e di prodigi per ricchi avrebbe sublimato una narrativa calata a fondo nelle contraddizioni sociali. La città peccatrice, portuale, oscuramente minacciosa, sarebbe rimasta in attesa che gli scrittori francesi vi arrivassero per codificarla: Carcò, Pieyre de Mandiargues, Genet. Come appendici importanti della sua vita, la Barcellona capitale della retroguardia repubblicana posò per Orwell, Malraux, Claude Simon e quella Barcellona rimase celata nella memoria dei vinti fino a quando, dai loro esilii, recuperarono questo immaginario.

    Sono molti i romanzieri che dopo la guerra utilizzano il materiale urbano barcellonese come riferimento fondamentale, forse afflitti da una certa incapacità di patriottismo maggiore di quello composto dai cantoni principali della città o di un quartiere. L'"eccitante letterario" di Barcellona proviene da una particolare relazione spazio-tempo, relazione diacronica e sincronica. Questa città ha storicizzato il meglio del suo passato e ha creato uno spazio barcellonese convenzionale però vivo, pieno di barricate, puttane bevitrici di assenzio, Gaudí varii, sofferenze etiche, ricchi light, poveri solidi, occupanti, occupati, umiliati, offesi... e tutto ciò in una scenografia piena di meraviglie piccine e prossime, a venti minuti di distanza tra le puttane bevitrici di assenzio e i signoroni dei Jardinets dei bei tempi dei signoroni e dei Jardinets. Questa relazione spazio-tempo si colloca nel tempo convenzionale di circa centocinquant'anni di storia e in pochi chilometri quadrati di territorio in cui ci fu di tutto e tutto accadde durante i giorni lavorativi e le domeniche in cui tutti quanti andavano alla Rambla a posare per George Sand o per le televisioni europee avide di olimpicità.

    I Giochi Olimpici hanno sostanzialmente modificato l'immaginario barcellonese, accentuato all'improvviso dalla torre delle comunicazioni di Foster costruita sul monte Tibidabo. Nel bilancio positivo va inclusa l'apertura sul mare, quei chilometri di porti e spiagge che Barcellona presenta come un'offerta del mare libero per l'uomo libero, una geografia urbana d'obbligo per il viaggiatore giunto con il catalogo aprioristico della Barcellona di Gaudí e del gotico. Ha portato inoltre con sé una ristrutturazione delle infrastrutture che, prima e dopo le Olimpiadi, hanno fatto di Barcellona una città collegata in modo più agibile con le colline alle sue spalle, mediante i tunnel di Vallvidrera e le autostrade che la congiungono di più e meglio con l'aeroporto. Anche Montjuich è cambiato, ha smesso di essere terra in chiaroscuro per diventare area sportiva, mentre edifici a sé stanti come il Teatro Nacional di Ricardo Bofill, il MACBA (Museo d'Arte Contemporanea) di Meier o l'Auditorio di Rafael Moneo cercano di irradiare prestigio culturale in un contesto urbano di sconcerto visivo o di depressione economica.

    Adesso Barcellona, democratica e postolimpica, è diventata un bello scenario per una rappresentazione tutta da decidere, e si predispone quindi ad accogliere ogni evento universale, poiché non c'è angoscia più insostenibile di quella suscitata dai teatri vuoti. Aperta al mare, con il mare ormai socializzato, Barcellona ha smesso di essere l'anfiteatro di una borghesia egemonica per diventarlo di un'etnia urbana contemplata da occhi protettivi, innamorati, edipici da figli di vedova, perché i barcellonesi di oggi, come quelli di ieri e di domani, continuano ad avere la sensazione di vivere in una città mai riuscita a combinare un matrimonio veramente riuscito.

    Quanto all'ambizione di riempire il teatro con spettacoli all'altezza dei giochi olimpici, che ebbero cerimonie di apertura e chiusura così belle, è un impegno difficile da compiere e per il momento la nuova e la vecchia scenografia di tutte le Barcellone possibili si sono riempite di turisti e ristoranti, con i primi intenti a consumare tutte le morfologie di una città che li sorprende e li attrae per le sue dimensioni tuttora umane, sempre più lubrificate dal mare, consapevoli inoltre dell'offerta gastronomica di una città tanto meticcia in tutte le sue cucine, compresa quella del cannibalismo sociale.

    La città letteraria fu un risultato naturale del rapporto dialettico tra il buono, il cattivo e l'inevitabile, ma a meno che non capiti una catastrofe, saltino tutte le resistenze e ogni cosa vada in tilt, con un black-out in grado di preparare un Mad Max nordico, quale materiale letterario potrà mai incubare la Villa Olímpica se non combinazioni verbali per confezioni di surgelati? Indubbiamente tutti, e almeno noi che contiamo qualcosa in questa città e ne siamo l'establishment, saremo più felici ma avremo serie difficoltà a tramandare l'immaginario barcellonese fissato tra il 1714 e il 1992. Non credo che sia utile crogiolarsi nel cinismo, né nello scetticismo, al contrario, converrà che con la facilità di elaborazione propria del nostro tempo, una parte dello sforzo culturale di questa città si dedichi a creare condizioni di "autoletteratura", a guisa di sofisticate aree letterarie ottenute mediante l'ingegneria finanziaria, sotto la protezione tecnica o non tecnica della Walt Disney Corporation, in cui possa vivere un immaginario barcellonese multiuso, messo a disposizione degli scrittori del futuro, giorno e notte, e dei turisti avidi di mauditisme notturno e di architetti come lei, signor Cassani, capaci di leggere città tra le ombre di romanzi più o meno polizieschi. A meno che non rinunciamo agli uni e agli altri e questa città diventi definitivamente, per i secoli dei secoli, un bell'accidente geometrico. Una delle tre punte del triangolo Montpellier, Toulouse, Icaria S.p.A. (Compagnia che sfrutta i terreni della Villa Olímpica, un tempo sede di un tessuto sociale di operai che avevano sognato di trasformare quel territorio in una Nuova Icaria).

* Celebre motivo della zarzuela La Corte del Faraón di Vicente Lleó (1870-1922).

(Traduzione di Hado Lyria)