M.V.M.

Creato il
12/2/98.


Ancora su Lo scriba seduto:

Articolo di Daniela Mangione.


Il Grande Fratello di oggi

MATTEO COLLURA

Corriere della Sera, 23 / 12 / 1997.


Scrittura e impegno. Ha ancora senso legare l'impegno alla scrittura? E qualora si facesse, servirebbe davvero a qualcosa di concreto? Lo scriba, nella celebre immagine lasciataci dall'artistico genio egizio, ci guarda impassibile e non sembra suggerire risposte. Tuttavia, riesce a parlare, suo malgrado; e lo fa per voce di uno scrittore prolifico e inquieto. Manuel Vázquez Montalbán, autore de «Lo scriba seduto» (editore Frassinelli), è a Modena per ritirare un premio dedicato all'arte della gastronomia, intitolato a Giorgio Fini; riconoscimento che lo scrittore catalano si è certamente guadagnato nel raccontare in molti libri le gesta dell'investigatore e gastronomo Pepe Carvalho.
    Con il creatore di Pepe Carvalho oggi non parliamo, tuttavia, di cucina. Parliamo di questo ultimo libro e dei gravi problemi che pone. E partiamo da qui, da una sensazione che si ricava a lettura ultimata, ma che ha già il sapore dell'inganno. La sensazione è questa: che la storia della letteratura si possa dividere in due parti. In una gli scribi seduti che restano seduti; nell'altra gli scribi che tentano di alzarsi e di rubare —come Prometeo— il fuoco del sapere agli Dei per consegnarlo agli uomini. È così? «Non esiste e non è mai esistita una separazione così netta —dice Vázquez Montalbán—. C'è una impotenza dello scrittore verso il potere, ma questa viene superata quando si arriva alla società dei lettori, una società che permette agli scrittori di emanciparsi, di poter attuare la loro completa ribellione. Quest'epoca si colloca intorno al Romanticismo. Prima si trattava di casi isolati, individualità che regolarmente finivano al rogo. Il momento storico che obbliga gli scrittori a fare una scelta di fondo, l'unica, essenziale, è quello che coincide con la rivoluzione industriale e la conseguente rivoluzione sociale».
    Sembra di vivere in un'epoca in cui la letteratura ha sempre meno peso. E questo anche perché il mondo non è più ideologizzato e non è più diviso in due blocchi, con la sua conseguente doppia verità e persino doppia contabilità. «Sì, credo di sì. Ma la letteratura può rivelare ancora ingiustizie e imposture; può servire ancora a leggere la realtà. Di più, può essere arma efficace per combattere questa strana e pericolosissima diffusione del "pensiero unico". Una vera e propria cospirazione che porta al "politicamente corretto". La letteratura può ancora offrire un progetto diverso, alternativo».
    Negli anni Trenta la guerra di Spagna mobilitò gli intellettuali. Trent'anni dopo, la guerra del Vietnam infiammò le piazze del mondo. Oggi sembra che i movimenti di opinione siano archeologia. Gli intellettuali non trascinano più folle pacifiste. Né per l'ex Jugoslavia né per l'Algeria. «Non sono stati gli intellettuali, in passato, a mobilitare le folle. Questo è un mito e nient'altro. Ad affacciarsi alla storia, contro le "guerre ingiuste", è stato un soggetto sociale critico d'avanguardia. Una realtà complessa della quale facevano parte gli intellettuali e la classe operaia. Negli anni Sessanta fu la mobilitazione della gioventù a preparare un futuro nuovo. Sartre, per fare un nome, andò a rimorchio».
    Integralismi e fondamentalismi scuotono il mondo. L'Algeria è a due passi. Eppure è come se non esistesse. «Questo è dovuto alla paura che si ha dell'integralismo, ma anche all'ignoranza degli intellettuali europei sulla logica interna dell'Islam. Del resto, il "pensiero unico" spinge ad altro, il suo dominio mediatico non consente di fare di più».
    «Pensiero unico» come il «Grande Fratello» di Orwell? «No. La paura di Orwell riguardava una dittatura comunista. Oggi, di fatto, il Grande Fratello può avere l'aspetto di una democrazia. La dittatura del "Pensiero unico" si trasmette attraverso uno strumento democratico per eccellenza, il mercato. E così viene a determinarsi una contraddizione alla quale pochi prestano attenzione: il mercato che per se stesso implica pluralità e concorrenza, nella realtà porta all'uniformità».


Ancora su Lo scriba seduto:

Articolo di Daniela Mangione.